Giacomini: dall’economia qualche segnale positivo, ma per l’occupazione la risalita è lenta
Dall’economia arrivano i primi segnali di inversione di tendenza, sia pure timidi, ma parlare di ripresa appare prematuro. Anche perché l’occupazione fatica a recuperare e i livelli del 2008 appaiono impensabili. Questi i temi al centro dell’intervista con il segretario generale della Cgil Udine Natalino Giacomini, che non manca di esaminare anche altri temi di attualità , come il rinnovo della presidenza di Confindustria Udine e il rapporto tra la provincia friulana e gli altri territori della regione, spesso al cento di polemiche, preoccupazioni e rivendicazioni di campanile.
Qual è lo stato di salute dell’economia e dell’occupazione?
Cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno, potremmo partire dal -59% nel ricorso alla cassa integrazione nei primi sei mesi dell’anno. Un buon segnale, finalmente, ma non senza una componente negativa: ci dice infatti che molte aziende, sia per il massiccio utilizzo degli scorsi anni, sia per le nuove regole sugli ammortizzatori entrate in vigore da quest’anno, sono rimaste scoperte. E abbiamo ancora un numero non trascurabile di esuberi potenziali destinati a trasformarsi in nuovi disoccupati, in una provincia come la nostra, che a fine 2016 contava 15mila occupati in meno rispetto al 2008, i tre quarti dei 20mila posti di lavoro persi complessivamente in regione.
Pare di capire che in realtà il bicchiere è mezzo vuoto.
La crisi ha picchiato durissimo, ma ci sono anche dati che potrebbero incoraggiare un cauto ottimismo. La propensione a cercare lavoro, infatti, non è diminuita: il tasso di attività nella fascia di età 15-64 anni è salito dal 68% del 2008 al 69% del 2016, con un incremento di 4 punti percentuali tra le donne. E se è vero che la disoccupazione è quasi raddoppiata, passando dal 3,9 al 6,9%, non c’è quella fuga dal mercato del lavoro che sembrava delinearsi in certe fasi della crisi. Va detto anche che l’inversione di tendenza, se c’è, è legata più a dinamiche congiunturali generali che a politiche messe in campo a livello generale o locale.
Resta il fatto che Udine ha pagato alla crisi un dazio più alto del resto della regione”¦
Sì, perché al di là della buona tenuta di alcune realtà o di settori come l’agroalimentare, un territorio come il nostro, ha pagato la sua vocazione industriale, vocazione che va nondimeno difesa e rilanciata, perché il manifatturiero resta la spina dorsale e il vero punto di forza dell’economia friulana. Perché l’industria riparta davvero, però, dando continuità a quei piccoli sintomi di ripresa che arrivano dalla meccanica e anche da un altro comparto chiave come il legno, c’è bisogno che le aziende riprendano in mano la leva degli investimenti e che si rimetta in moto, anche grazie ad adeguate politiche di investimento di parte pubblica, il volano delle costruzioni: anche su questo versante i numeri sembrano evidenziare una piccola inversione di tendenza, ma ricordiamo che si tratta di un comparto più che dimezzato dalla crisi. Sapendo che questo è il frutto anche dell’overdose di mattone, civile, industriale e commerciale, degli anni prima della crisi, è altrettanto chiaro che la ripartenza deve seguire altre direttrici: quelle delle opere pubbliche strategiche, della messa in sicurezza del territorio, del recupero dei centri storici.
Dall’edilizia veniva anche quello che sembrava dover essere il nuovo presidente degli industriali udinesi: crede che le spaccature che si sono aperte in Confindustria, e culminate con la mancata elezione, possano rimarginarsi o che siano destinate ad avere degli strascichi?
La crisi ha contribuito ad acuire le sensibilità all’interno di ogni organizzazione, noi compresi. Questo condiziona inevitabilmente le fasi di passaggio del testimone. Non credo che spetti alla Cgil entrare in giudizi che potrebbero essere interpretati come invasioni di campo. Mi permetto quindi soltanto di formulare l’auspicio che Confindustria Udine continui a rappresentare un interlocutore autorevole sia nei confronti delle altre componenti territoriali della confederazione sia degli altri interlocutori, perché se non fosse così sarebbe un danno per la rappresentatività e l’autorevolezza del nostro territorio. Un territorio che resta la componente più importante di questa regione, in termini di popolazione e di peso economico, e che deve saper ritrovare compattezza e la capacità di ripensare al suo futuro in modo strategico e costruttivo.
Anche lei pensa che esista un problema della crisi di rappresentanza di Udine rispetto alle altre province?
La questione non va affrontata con la prospettiva miope dei campanili, che non ha senso di essere in una regione piccola come la nostra: la logica deve essere quella della progettualità comune, per sfruttare appieno le potenzialità di sviluppo legate agli investimenti logistici e infrastrutturali, alla riorganizzazione dei distretti e dei consorzi, funzionale al rilancio del manifatturiero, al dialogo tra le università e i poli di formazione e ricerca, alla necessità di integrare il sistema delle camere di commercio e delle fiere. Se invece la priorità resta la difesa degli orticelli, e le uniche ipotesi di alleanza sono contro qualcuno piuttosto che verso obiettivi comuni, credo che continueremo a navigare a vista e ad allungare i tempi di uscita dalla crisi. Una miopia che non possiamo permetterci, se non vogliamo condannare i nostri giovani a languire in un limbo sospeso tra disoccupazione, precariato e lavori saltuari. Ecco perché proporremo tavoli di confronto non solo con i nuovi vertici provinciali di Confindustria, ma con tutte le principali categorie economiche e altri soggetti come l’università e i consorzi industriali, tesi alla ricerca di progetti concreti in grado di rilanciare l’economia provinciale e regionale e di far ripartire davvero il lavoro.