Carenze di personale e servizi depotenziati: Asufc lontana dagli obiettivi del Pnrr
Come conciliare gli obiettivi di rafforzamento della sanità pubblica posti dal Pnrr con il processo di riforma, o meglio di controriforma, del servizio sanitario del Friuli Venezia Giulia? È un quesito sempre più assillante, man mano che prendono piede i cambiamenti di assetto apportati dall’attuale Giunta regionale, come quelli previsti dalla delibera regionale 1446 del 24 settembre scorso, che a nostro avviso causeranno non pochi disagi per utenti, medici e operatori sanitari dell’Azienda sanitaria unificata del Friuli centrale.
La nostra regione, come noto, soffre di una forte diminuzione demografica, con uno spopolamento progressivo della zona montana e pedemontana. Parallelamente dobbiamo fare i conti con un progressivo aumento delle cronicità collegate a malattie cardiologiche e dei disturbi psichici. L’amministrazione regionale, nel contempo, si pone l’obiettivo dichiarato di ridurre la prossimità ospedaliera e di incrementare quella territoriale. Questo in linea con il Pnrr, che prevede un rafforzamento della prevenzione e dell’assistenza sul territorio con l’integrazione tra servizi sociali e l’ammodernamento della dotazione tecnologica.
Ma è soprattutto sul territorio che i conti non tornano. Eloquente l’esempio dei Centri di salute mentale, che scenderanno da 10 a 6 solo in Asufc, nonostante a tutt’oggi si faccia già una fatica immensa per riuscire a dare una risposta sia in termini di prestazioni domiciliari che di accoglimenti. C’è poi il nodo di Gemona, fiore all’occhiello del potenziamento territoriale, secondo il Pnrr, e che pare invece diventare, si spera solo per una svista, una succursale del Gervasutta. Sulla carta la qualifica, per Gemona, è quella di ospedale di comunità , ma questo, in base ai criteri del Pnrr, richiederebbe l’attivazione di 1 o 2 moduli con 15-20 posti letto ciascuno: ci chiediamo con quale personale, visto che quello attuale fatica già a garantire gli attuali servizi.
Quanto agli ospedali, gli attuali pronto soccorso restano e si integrano, ognuno con le proprie funzioni. Ma anche qui, in realtà , è buio totale, perché con le mediche intasate dai ricoveri ordinari e dai day hospital anche i pronto soccorso continueranno a traboccare di pazienti in osservazione breve intensiva, cioè di ricoverati in anticamera. Nubi anche sul futuro della pediatria: se è vero infatti che si tengono aperti gli attuali punti nascita, l’attività di ricovero ordinaria sarà centralizzata a Udine, con gravi penalizzazioni per il territorio montano, pedemontano e collinare.
Su tutto questo, peraltro, pende la spada di Damocle di una cronica carenza di personale. La situazione, su questo versante, resta fortemente critica a causa dei pensionamenti, del ridotto turnover, dell’elevata età media e delle assenze legate alle mancate vaccinazioni. Termometro delle carenze di organico il ricorso allo straordinario, che nel primo semestre 2021 ha toccato le 339mila ore, per una proiezione vicina alle 700mila sui 12 mesi, pari all’orario annuale di quasi 400 operatori.
La delibera regionale predica redistribuzione delle risorse umane e riorganizzazione? A noi sembrano i soliti spot che nascondono vecchi problemi: assunzioni con il contagocce, anzi a delta negativo, e riorganizzazioni che perpetuano lo stillicidio, anno dopo anno, dei presidi montani e pedemontani, con ulteriori ricadute negative sulla demografia dei rispettivi ambiti territoriali, sempre più segnati dallo spopolamento e dall’invecchiamento della popolazione. Sempre meno abitanti, ma con una forte crescita delle patologie legate all’età e delle patologie croniche, e quindi un impatto crescente sul sistema sociosanitario. Impatto cui ospedali e territorio fanno sempre più fatica a far fronte.
Andrea Traunero, Segretario Fp-Cgil Udine
Claudio Palma, Rsu Asufc Fp-Cgil